I Coronavirus sono una vasta famiglia di virus noti per causare malattie che vanno dal comune raffreddore a malattie più gravi, come la Sindrome respiratoria mediorientale (MERS) e la Sindrome respiratoria acuta grave (SARS). Quella che stiamo vivendo in questo momento storico è stata definita “COVID-19”, nome suggerito ed annunciato l’11 febbraio 2020 dal Direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus. COVID-19 rappresenta un nuovo ceppo di coronavirus che non è stato precedentemente mai identificato nell'uomo.
I sintomi più comuni di Covid-19 sono febbre, stanchezza e tosse secca. Alcuni pazienti possono presentare indolenzimento e dolori muscolari, congestione nasale, naso che cola, mal di gola o diarrea. Questi sintomi sono generalmente lievi e iniziano gradualmente. Nei casi più gravi, l'infezione può causare polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale e persino la morte. In quest’ultima tipologia di pazienti il coronavirus induce una forte infiammazione delle vie aeree profonde, al livello dei polmoni, e il paziente fatica quindi a respirare e introdurre ossigeno a sufficienza per l’ossigenazione degli organi. A seconda delle sue condizioni, il paziente può trovare beneficio da una semplice mascherina con ossigeno respirando autonomamente oppure può avere bisogno di interventi più complessi come il casco respiratorio, la ventilazione non invasiva (maschera collegata a un ventilatore) e l’intubazione. Se il paziente ha una situazione di estrema gravità, si procede al ricovero in terapia intensiva, in cui viene gestita sia la ventilazione non invasiva che l’intubazione. Per intubare i pazienti è necessario sottoporli ad anestesia generale, condizione in cui ogni singolo paziente dovrà rimanere per diversi giorni. L’intubazione è una manovra che consiste nell’inserimento di un tubo attraverso la cavità orale, che passa poi per la laringe (corde vocali) e si inserisce in trachea fino ai polmoni, in modo che possa convogliare l’aria e farli espandere e contrarre artificialmente, grazie al ventilatore cui è collegato. L’anestesia serve sia per facilitare l’inserimento del tubo, sia per evitare che i pazienti siano coscienti e cerchino di contrastare involontariamente la respirazione indotta dal ventilatore. Dopo qualche giorno, se le condizioni migliorano, l’anestesista di terapia intensiva può disporre un progressivo risveglio del paziente, seppure ancora intubato. Questa soluzione serve per ottenere un minimo di coscienza dai pazienti e per verificare l’andamento delle loro capacità respiratorie. Nel momento in cui si torna a respirare autonomamente, il ventilatore resta attivo poiché rileva quando il paziente inspira o espira e lo aiuta a trasportare la giusta quantità d’aria per far lavorare correttamente i polmoni.
L’intubazione è una manovra delicata che può causare conseguenze transitorie o permanenti più o meno gravi. Tra le conseguenze, dalle più frequenti alle più rare, troviamo: danneggiamento dei denti, dolore alla gola, raucedine, emorragie, perforazioni tracheali e disfagia.
Disfagia e COVID-19
La deglutizione è un atto fisiologico che consente il trasporto del cibo dalla bocca allo stomaco; ogni persona deglutisce in media più di mille volte al giorno per mangiare, bere o ingoiare la saliva. Il meccanismo deglutitorio è complesso e richiede il coinvolgimento di tutta una serie di strutture neuro-muscolari che devono coordinarsi affinché il bolo venga trasportato attraverso la “via” digestiva senza entrare in quella aerea.
Il cibo supera le labbra, viene masticato dai denti e miscelato con la saliva, grazie al movimento della lingua che crea un bolo omogeneo che viene poi trasportato dalla stessa nella parte posteriore della cavità orale; a questo punto il bolo stesso elicita il riflesso deglutitorio che innesca il movimento della muscolatura faringea, laringe ed esofagea fino a far arrivare il bolo nello stomaco. Se questo perfetto e sinergico meccanismo viene in qualche modo alterato si parla di disfagia ovvero disfunzione del meccanismo deglutitorio. È importante non sottovalutare questa problematica perché l’alterazione del fisiologico meccanismo deglutitorio può provocare conseguenze molto gravi, dalla polmonite Ab Ingestis alla morte, derivanti dalla penetrazione del cibo nelle vie aeree.
La disfagia è un segno clinico causato da un danno congenito o acquisito centrale (Sistema Nervoso) o periferico (ossa, muscoli etc.). La disfagia colpisce circa il 20% della popolazione generale e le cause possono essere di diversa natura (neurologica, iatrogena, infettiva, miopatica etc).
Si riscontra frequentemente difficoltà a deglutire nei pazienti dimessi dopo lunghi periodi di terapia intensiva, con una prevalenza tra il 20% e l'83% dei casi (che varia in base alla fascia d'età). Il motivo per cui si riscontra questa complicanza deriva dal fatto che l’intubazione protratta per un tempo superiore alle 48 ore aumenta il rischio di lesione delle vie aeree superiori con alterazioni dell’areodiamica, della meccanica e dei riflessi protettivi delle vie aeree stesse. La presenza di una via aerea artificiale e i cicli prolungati di ventilazione alterano la frequenza respiratoria propria del paziente e compromettono la delicata sincronia tra deglutizione e respirazione; questo provoca a lungo andare atrofia dei muscoli orofaringei per il loro non utilizzo, una soppressione dei riflessi di protezione delle vie aeree quali tosse e gag reflex (riflesso del vomito) e una inibizione della chiusura dell’epiglottide.
Disfagia e logopedìa
La disfagia viene solitamente diagnosticata dai medici specialisti (Otorino-laringoiatri o Foniatri) attraverso indagini strumentali specifiche (fibro-laringoscopia, video-fluoroscopia etc.). I sintomi che solitamente vengono riscontrati in pazienti disfagici sono: senso di soffocamento, tosse insistente, comparsa di colorito rosso o cianotico al volto. In altri casi la disfagia è silente e il cibo arriva nei polmoni senza la suddetta sintomatologia. Più in generale i sintomi che devono indurre il sospetto di disfagia sono:
- segni di aspirazione: soffocamento, tosse e senso di strozzamento con l’ingestione di liquidi e solidi;
- segni di difficoltà respiratoria durante il pasto: cambiamenti delle caratteristiche del respirare; respiro dispnoico; respiro rumoroso;
- segni di affaticamento durante l’alimentazione;
- calo di peso;
- infezioni frequenti alle alte vie respiratorie;
- difficoltà nella gestione di liquidi e/o cibi morbidi e/o cibi frullati e/o solidi.
Il percorso riabilitativo di un paziente disfagico si inserisce all’interno di un progetto riabilitativo complesso, che richiede il coinvolgimento di numerosi specialisti. Tra le figure che ruotano attorno al paziente disfagico troviamo: neurologo, foniatra/otorino-laringoiatra, fisiatra, infermiere, logopedista, fisioterapista, terapista occupazionale, psicologo/psicoterapeuta, nutrizionista e OSS. Fondamentale per il miglioramento del paziente è il coinvolgimento del sistema familiare o del caregiver.
In termini riabilitativi è fondamentale in prima istanza identificare quali sono le competenze residue del paziente (grazie alla visita specialistica strumentale), identificando quale tipologia di consistenza del cibo (liquidi, solidi, semiliquidi, semisolidi) è in grado di gestire adeguatamente (lavoro in equipe tra medico specialista, infermiere, logopedista); verrà pertanto elaborata una dieta ad hoc mirata a garantire al paziente un adeguato apporto nutrizionale e di idratazione (grazie alle indicazioni fornite dal nutrizionista). La seconda cosa da fare è identificare le più adeguate posture (lavoro di equipe tra fisioterapista, logopedista e terapista occupazionale) che permettano al paziente di gestire adeguatamente il cibo ed essere in situazione di sicurezza. A questo punto si avvia la riabilitazione neuro-motoria vera e propria, eseguita dal logopedista, e mirata a stimolare e potenziare le competenze delle strutture che intervengono nell’atto deglutitorio sia in termini neuro-muscolari che in termini funzionali.
Bibliografia
‘’Disfagia post estubazione: una complicanza prevenibile? Identificare precocemente il deficit per prevenire le conseguenze a breve e lungo termine’’: