La legge le consente, a determinate condizioni
In seguito alla registrazione di crescenti incresciosi eventi di cronaca, si è sempre più diffusa la vendita di spray al peperoncino antiaggressione che, in alcuni Comuni ,sono stati offerti gratuitamente alla popolazione e forniti in dotazione alla Polizia Municipale, per essere utilizzati come mezzi di autodifesa.
Sia la pistola che lo spray a base di peperoncino, sono stati legalizzati e regolamentati dal Decreto Ministeriale n. 103 del 12 maggio 2011, recante il Regolamento degli strumenti di autodifesa che nebulizzano un principio attivo naturale a base di oleoresin Capsicum, prive di attitudine a recare offesa alla persona, in attuazione dell’articolo 3, comma 32, della Legge n. 94/2009.
La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 8624/2018, ha confermato che la detenzione e l’uso di dispositivi di autodifesa a base di peperoncino non costituiscono reato e che una bomboletta spray o pistola, sempre al peperoncino, non può considerarsi né un’arma non comune da sparo e neppure un’arma chimica, e pertanto viene consentito il libero porto, ai sensi dell’art. 699 del Codice Penale.
Ovviamente, sempre che, sia le bombolette che le cariche per pistole, risultino conformi alle seguenti caratteristiche e disposizioni:
- contenuto della miscela di liquido irritante non superiore a 20 ml ( oltre tale quantitativo diventa uno strumento di aggressione e non di legittima difesa );
- percentuale di oleoresin capsicum non superiore al 10 %, con concentrazione massima di capsaicina e capsaicinoidi fino al 2,5 %;
- gittata non superare ai 3 metri;
- capsicina non superiore ai 2.000.000 di piccantezza della scala Scoville, che attribuisce alla stessa, allo stato puro, un valore di 16.000.000 ( limitazione imposta affinché l’irritazione provocata dallo spray sia temporanea e non pericolosa );
- miscela non contenente sostanze infiammabili e tossiche o agenti aggressivi chimici, con effetti lacrimogeni e paralizzanti;
- siano dotati di sicurezza contro l’attivazione accidentale ( anche perché per un utilizzo ingiustificato si rischia la contestazione per eccesso di legittima difesa e lesioni personali );
- divieto di vendita ai minori di 16 anni.
Gli effetti dello spray, della durata dai 20 ai 60 minuti ( tempo sufficiente per allontanarsi dall’aggressore e chiedere aiuto ) sono di natura infiammatoria su naso, occhi, pelle e mucose, con manifestazioni immediate di tosse, spasmi, bruciore, nausea, lacrimazione, gonfiore alla gola, fuoriuscita di abbondante muco nasale, disorientamento ed irritazione.
I dispositivi, nelle varie versioni, sono acquistabili, al prezzo indicativo di 15 – 30 e 50 - 90 euro, a seconda se trattasi di bombolette o pistole, nei negozi specializzati: armerie, ferramenta, tabaccherie e, dal 2011, anche farmacie e supermercati o ( per chi ha dimestichezza con l’uso di internet ) tramite i siti di vendita online, che offrono un’ampia gamma di prodotti, ivi compresa la penna spray antiaggressione, che presenta il vantaggio di poter essere tenuta a portata di mano, senza destare sospetti.
Comunque è sempre consigliabile optare per shop che garantiscono prodotti di qualità a prezzi contenuti.
Intanto, per agevolare i potenziali acquirenti a compiere una scelta più oculata, si ritiene utile riportare alcune informazioni sulle fondamentali differenze di funzionamento e di prestazioni fra le bombolette spray e le pistole al peperoncino:
- Il getto gel nebulizzato, lungo circa 3 metri, è preciso e diretto solo al bersaglio ad una velocità da 180 a 350 Km/h;
- L’effetto prolungato, non letale, mette KO l’aggressore per 40-60 minuti;
- si possono usare in ambienti interni od esterni, a tutte le temperature ed in qualsiasi condizione meteorologica (pioggia, vento, ecc);
- la carica di innesco non è a pressione gassosa, ma pirotecnica (tipo di esplosivo composto da polvere pirica ed altri elementi chimici), pertanto rimane funzionante nel tempo, con immutata efficacia;
-la loro forma si adatta meglio alla mano, consentendo una presa più facile e sicura ed un’estrazione più rapida;
- funzionano in ogni posizione.
Per entrambi i dispositivi, però, considerata l’ imprevedibilità delle necessità del loro impiego, occorre acquisire un’adeguata destrezza nel maneggiarli, per essere in grado di usarli in modo rapido, efficace e sicuro. Pertanto, al fine di agevolare il conseguimento di tali condizioni, si ritiene utile riportare i seguenti suggerimenti:
Comunque, in caso di contaminazione accidentale, per porre rimedio, occorre, innanzitutto, liberarsi dei vestiti impregnati, sciacquare abbondantemente la zona delle pelle colpita e rimuovere eventuali lenti a contatto.
Anche se, a causa dell’imprevedibilità della tipologia di aggressione, o del verificarsi dell’ipotesi che l’arma si possa inceppare o cadere di mano o non produrre l’effetto desiderato nei tempi richiesti, nessun oggetto di difesa potrà mai garantire la completa sicurezza. Tuttavia, lo spray e la pistola al peperoncino rappresentano i pochi, se non gli unici, dispositivi che possono essere usati legalmente e quindi nel modo più penalmente rispondente alla Difesa Personale.
Perciò, detenerli e saperli usare correttamente può costituire un valido supporto psicologico e materiale contro ogni potenziale tentativo di aggressione. A tal fine se, dopo un’autonoma esercitazione, non si è ancora grado di padroneggiarne l’uso è consigliabile ed opportuna la frequenza di un apposito corso di autodifesa.
Affinché la diffusione della detenzione dei descritti mezzi, unitamente alla destrezza nel loro impiego, alla conoscenza delle regole da rispettare e all’acquisizione della consapevolezza dei danni derivabili da un incauto o irresponsabile uso, da parte dei possessori, possano costituire un proficuo deterrente, sia per far desistere molti malintenzionati dal proposito di praticare le ricorrenti aggressioni e sia e, soprattutto, per scongiurare il ripetersi della recente immane tragedia consumatasi all’interno di un’affollatissima discoteca, in provincia di Ancona, sembra proprio a causa dell’ assurdo ed inconsulto azionamento di uno spray al peperoncino, compiuto da un dissennato minorenne.
A cura del Prof. Brancato
QUANDO SI PUO’ RICHIEDERE IL RISARCIMENTO AL CONDOMINIO.
Vediamo in quali casi la giurisprudenza ritiene imputabile al condominio la responsabilità:
Inadeguatezza dell’impianto di videosorveglianza:
secondo quanto affermato dal Tribunale di Latina con sentenza del 20 Settembre 2018, il Condominio risponde delle carenze del sistema di videosorveglianza, riscontrabili nel malfunzionamento dell’impianto o nel posizionamento della telecamera con angolo di visuale non adatto a percepire l’ingresso dei ladri, se esse hanno facilitato il furto all’interno dell’edificio. Inefficienze per le quali il proprietario derubato potrà chiedere il risarcimento dei danni subiti all’Amministratore il quale, previa delibera assembleare, sarà tenuto a liquidare l’importo dovuto;
Inefficienza del portone d’ingresso:
dovuta, più frequentemente, al guasto della serratura del portone di accesso al palazzo. Circostanza che implica la responsabilità dell’Amministratore, pur in assenza di segnalazioni da parte dei condomini, in quanto supervisore di ogni componente dell’edificio condominiale del quale ha la gestione. Come tale, infatti, è tenuto ad intervenire tempestivamente per far riparare guasti ed ovviare ad anomalie strutturali. Diversamente è ritenuto, nel caso specifico, corresponsabile del furto per aver agevolato l’introduzione dei ladri nell’edificio;
Ponteggi privi di sistemi di allarme:
quando posizionati su una delle facciate del palazzo, per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione. In tal caso chi è il responsabile? A questo proposito, l’ordinanza n. 26697/2018 della Corte di Cassazione ritiene che possano essere considerati responsabili sia la Ditta edile che il Condominio. In quanto, alla Società esecutrice dei lavori potrebbe essere contestata l’omessa adozione delle cautele necessarie per impedire l’uso anomalo dei ponteggi e di aver trascurato le più elementari norme di diligenza e perizia, agevolando, così, l’esecuzione del furto nell’appartamento. Allo stesso tempo il Condominio, nella persona dell’Amministratore, potrebbe essere ritenuto responsabile per non aver richiesto alla Ditta l’installazione di un sistema di allarme collegato ai ponteggi, da attivare durante la notte. Ed ancora, lo stesso condominio, potrebbe essere considerato responsabile anche per aver scelto un’Impresa inadeguata per l’esecuzione dell’opera, oppure per il fatto che l’Amministratore abbia omesso di sorvegliare efficientemente l’operato dell’Impresa appaltatrice;
Impresa di Vigilanza inadempiente agli obblighi contrattuali:
per intempestiva attivazione al segnale di allarme, mancato avviso alla Polizia ed intempestivo invio sul posto di un vigilantes. Per tale circostanza, in seguito ad azione legale esercitata dal proprietario per il furto subito, i giudici, che si sono alternati nei vari gradi di giudizio, hanno attribuito la responsabilità alla Società di Vigilanza. Anche se con divergenza di giudizio sull’entità del risarcimento del danno reclamato dal danneggiato. Divergenza che veniva risolta con la sentenza n. 16195 del 30 Luglio 2015 della Suprema Corte di Cassazione, che stabiliva la misura del risarcimento, in via equitativa, pari al valore dell’importo del contratto di vigilanza. In quanto il danneggiato non aveva “fornito la prova specifica della natura degli oggetti sottratti e del loro valore: prova che avrebbe richiesto la predisposizione dell’inventario preciso di tutti i beni e preziosi esistenti nell’appartamento alla data del furto ed una stima del loro valore ad opera di persona estranea e affidabile: cautele a cui normalmente non si procede“.
A cura del Prof. Brancato
Il Decreto del Ministero dei Trasporti del 26 Settembre 2018 introduce, infatti, nuove disposizioni relative alle prove di valutazione delle capacità e dei comportamenti per il conseguimento delle Patenti di guida delle categorie: A1 ( Età minima 16 anni per la guida di: - Motocicli di cilindrata massima di 125 cm3, di potenza massima di 11 Kw e con un rapporto potenza/peso non superiore a 0,1 Kw/Kg; - Tricicli di potenza massima non superiore a 15 Kw; - Macchine Agricole che non superano i limiti di sagoma dei motoveicoli: m 1.60 di larghezza, 4.00 di lunghezza, 2.50 di altezza ed il peso, a pieno carico, non eccedente 2.5 tonnellate); A2 (Età minima 18 anni per la guida di motoveicoli di potenza non superiore a 35 Kw, con un rapporto potenza/peso non superiore a 0.2 Kw/Kg) e A o A3 (21 anni per guida di tricicli di potenza superiore a 15 Kw e 24 anni e 20 anni, a condizione di essere titolare di patente A2 da almeno 2 anni, per la guida di motoveicoli di tutti i tipi. Ossia veicoli a due ruote, senza carrozzetta - L3e - o con carrozzetta - L4e -. Cioè veicoli a 3 ruote destinati al trasporto di un numero massimo di 4 persone, muniti di motore con cilindrata superiore a 50 cm3, se a combustione interna e/o aventi velocità massima superiore a 45 Km/h).
Ciò, per il soddisfacimento dell’esigenza di uniformare le procedure di svolgimento delle prove di valutazione delle capacità e dei comportamenti, organizzandole, in tre fasi, invece delle sei fasi previste dal Decreto Ministeriale 8 Gennaio 2013. Come stabilito dal DM 19 Dicembre 2012, per il conseguimento della Patente di guida delle Categorie B e BE e dal DM 8 Gennaio 2013, per il conseguimento delle Patenti di guida delle Categorie C1, C, D1, D, C1E, CE, D1E e DE.
Fasi che comprendono:
Il candidato per superare la prova non dovrà incorrere in nessuna delle seguenti irregolarità:
La durata dell’intero esame pratico è prevista di 30 minuti.
Le nuove norme verranno applicate a partire dal 2 gennaio 2019 e riguarderanno anche chi ha presentato la domanda prima dell’entrata in vigore il nuovo decreto.
A cura del prof. Brancato
Da dicembre è possibile scaricare online il certificato di disoccupazione.
L’Agenzia Nazionale per le Pratiche attive del Lavoro – ANPAL – rende noto che il rilascio del certificato, timbrato digitalmente, utilizzabile per il riconoscimento di agevolazioni ed incentivi, sarà fattibile da metà Dicembre .
Secondo quanto riportato da “Italia Oggi“ entro il mese di Novembre sarà adottato un nuovo sistema per l’identificazione degli Utenti sul sito ANPAL, che consentirà l’accesso a tutti i servizi con una stessa utenza.
Al sito sarà possibile accedere mediante il Sistema Pubblico di Identità Digitale – SPID – (che permette l’accesso ai servizi online della Pubblica Amministrazione), il Documento Unico Identificativo – DUI – (Carta d’Identità elettronica) o utenza registrata.
Altra importante novità, relativa all’argomento disoccupazione, è che dal 22 ottobre la Dichiarazione di Immediata Disponibilità – DID –, che i disoccupati devono produrre online sul portale dell’ANPAL, può essere trasmessa anche tramite i Patronati.
Inoltre è previsto che gli Operatori dei Centri per l’Impiego ed i Patronati convenzionati, dal 22 ottobre, potranno, accedendo all’area riservata sul portale ANPAL, supportare i lavoratori nell’inserimento online della DID: importante dichiarazione che determina formalmente l’inizio dello stato di disoccupazione di una persona, consentendole di fruire dei servizi per l’inserimento nel mercato del lavoro.
A cura del Prof. Brancato
Corso per l’allattamento a seno secondo standard UNICEF all’ASL Roma 6
Si chiama Baby Friendly Community Initiative e nasce in seno all’UNICEF, nel 1998.
Si tratta di un programma teso ad istruire delle piccole realtà locali riguardo l’importanza dell’allattamento al seno, attraverso appositi corsi di formazione con rilascio di certificato di riconoscimento. Il programma, nato in Gran Bretagna, si basa sui Seven Point Plan, ossia “Sette Passi” da tenere come punti fermi per l’allattamento efficace. Essi sono:
Da quel giorno, la BFCI di strada ne ha fatta parecchia. In Italia dal febbraio 2006 si è tradotta nella Comunità Amica dei Bambini per l’Allattamento, diventata operativa nell’ottobre 2007, in occasione della pubblicazione dei “Sette Passi”. Da quel momento, molti enti locali si sono impegnati nella formazione di operatori per ottenere il riconoscimento (della durata di 36 mesi, dopodiché si è soggetti ad una rivalutazione).
Anche l’ASL Roma 6, ansiosa di ottenere il riconoscimento, si sta impegnando nella formazione degli operatori. Il corso, presentato il 5 ottobre, è finalizzato alla creazione di figure preparate, nel rispetto nella documentazione aderente ai “Sette Passi” già definita.
Incrociamo le dita, allora: che allattamento al seno sia!
https://www.lavocedeicastelli.com/
Le alte temperature e le abbondanti piogge favoriscono la crescita della vegetazione infestante: come arrestarne lo sviluppo senza nuocere all’ambiente
Contrariamente a cosa accade se il prodotto impiegato per proteggere le piante dal parassita risulta essere più pericoloso del parassita stesso, per la salute dell’uomo e del patrimonio biologico del terreno.
Cioè quel che accade nel caso dell’uso del “Glifosato “(Chimicamente trattasi di un amino fosforico della glicina – C3H8NO5P - Denominato Roundup nella versione commercializzata dalla Monsanto) : un principio attivo utilizzato sin dal 1974 che, secondo molti studi, potrebbe rivelarsi tossico per l’ambiente e dannoso per la salute. Esso è utilizzato ampiamente per la pulizia dei margini stradali, delle strutture ferroviarie, del verde pubblico ed in agricoltura dove, unito alle sementi geneticamente modificate (OGM): Soia, Mais, Colza e Barbabietola (il cui DNA è stato modificato con l’aggiunta di un gene per renderli resistenti all’erbicida) assicura il vantaggio dell’esclusione dei 4-5 interventi che, con diserbanti per la difesa di piante non OGM, sono generalmente necessari per il completo controllo delle infestanti.
I prodotti delle piante, così trattate, entrano poi nella catena alimentare umana attraverso il consumo di carne e suoi trasformati provenienti da animali nutriti con mangimi OGM ed altre forme di esposizione al glifosato, quali: l’effettuazione dei trattamenti, il consumo di l’acqua, di bevande e alimenti di origine vegetale (pane, pasta, cereali e legumi, sulle piante dei quali il glifosato viene spesso usato come disseccante, prima del raccolto).
In quanto diversi studi, hanno dimostrato come il glifosato sia in grado di contaminare il suolo, l’aria e le acque superficiali e profonde e quindi rappresenta una sostanza altamente tossica per l’ambiente, che incide sulla funzionalità degli ecosistemi (Insieme di organismi viventi e materia non vivente che interagiscono in un determinato ambiente in maniera organica e funzionale), degli habitat naturali, riducendone la biodiversità (Coesistenza, in uno steso ecosistema, di diverse specie animali e vegetali che crea un equilibrio in funzione alle loro reciproche relazioni) e di conseguenza la buona salute della biosfera (Spazio circostante la superficie terrestre nel quale sussistono le condizioni adeguate allo sviluppo della vita animale e vegetale), degli esseri umani e dell’agricoltura.
Dal rapporto dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – ISPRA – sui pesticidi (Prodotti che vengono impiegati per impedire che le colture vengano danneggiate o distrutte da malattie ed infestanti, quali: insetticidi, fungicidi, acaricidi, erbicidi, fitoregolatori e repellenti) emerge, infatti, che il glifosato sia una delle sostanze più diffuse nelle acque italiane.
Per cui la IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca SUL Cancro) il 20 Marzo 2015 definiva l’erbicida come probabile cancerogeno, inserendolo nel gruppo 2 B, in relazione alla pericolosità per la salute umana. Anche se in passato era stato considerato uno dei pesticidi meno tossici per gli animali, e per questo mai contestato, in riferimento ai test eseguiti della Monsanto e approvati da Enti pubblici americani ed europei, che avevano concluso che “le varietà OGM resistenti al Roundup sono sicure per la salute umana”.
Affermazione contestata dall’autorevole “ Studio Sèralini “ nel quale si chiarisce che la differenza degli esiti fra il suo studio e quello della Monsanto sul Mais NK603, usato negli Stati Uniti fin dal 2000, anche per l’alimentazione umana, è dovuta alla differente durata dell’indagine (che il protocollo prevede in non meno di 2 anni, per l’attendibilità dei test tossicologici del cancro) ed ai diversi standard di ricerca adottati sullo studio del glifosato, che non va considerato come principio attivo isolato, bensì nella sua formulazione complessa commerciale, comprendenti coadiuvanti (prodotti che si aggiungono alla sostanza base da cui si attende l’effetto principale) e tensioattivi (usati come agenti emulsionanti: atti a favorire la dispersione di un liquido sotto forma di particelle in un altro, come olio in acqua, nel quale rimangono completamente insolubili), più tossici del glifosato esaminato come sola sostanza attiva.
Inoltre il glifosato è un diserbante totale (che distrugge o impedisce la crescita di qualsiasi tipo di vegetazione), sistemico (che interessa tutta la pianta attraverso l’assorbimento ed il trasporto della sostanza nell’apparato radicale) e, soprattutto un forte chelante, coè che dispone di un notevole potere legante nei confronti dei micronutrienti: ferro, manganese, zinco, rame, boro, molibdeno e cloro, che immobilizza, rendendoli indisponibili per la pianta, con conseguente compromissione dell’efficienza nutrizionale.
In funzione di quanto sopra esposto e del Principio di Precauzione, basato sull’adozione di una condotta cautelativa riguardo la gestione delle questioni scientificamente controverse, da tempo, diverse campagne, contrarie all’utilizzo del glifosato, manifestano dissenso nei confronti del suo utilizzo e promuovono valide alternative per la lotta alle essenze infestanti. Cioè compatibili con i metodi di coltivazione biologica, com’è noto, impostati su produzioni finalizzati alla salvaguardia dell’Ambiente e sulla fornitura di alimenti privi di residui tossici.
Fra le proposte alternative più valide e, proprio per la natura delle materie prime del tutto naturali adoperate per la loro preparazione, esenti da effetti nocivi per l’uomo e l’ambiente, si ritiene meritino una particolare citazione i seguenti eco-diserbanti:
Esso è nato dall’esigenza espressa dai numerosi Apicultori sardi di salvaguardare le Api (principali artefici, insieme alle farfalle, dell’impollinazione delle piante e della loro produzione) che versavano in condizione di grave pericolo, imputabile al disinvolto massiccio uso di sostanze tossiche utilizzate sulle coltivazioni e sul verde urbano.
L’innovativo antiparassitario viene miscelato all’acqua che, surriscaldata in modo graduale da uno specifico macchinario per diserbo a vapore (appositamente adattato dall’Azienda Cavalli & Cavalli), svolge la funzione di cappotto termico in grado di accumulare e trattenere il calore, fra gli 80 e i 98 °C, all’interno delle cellule delle piante, garantendone l’essiccazione già dal primo passaggio. Anche se per il controllo completo occorrono, mediamente, tre trattamenti l’anno. L’utilizzazione è finalizzata, alla protezione, con esiti del tutto soddisfacenti, degli orti, frutteti, piante farmaceutiche, vigneti e verde urbano, come dimostrano le crescenti richieste di approvvigionamento a livello nazionale e mondiale: dalla Francia agli Stati Uniti e dalla Cina al Madagascar.
L’azienda produttrice, nell’intento di estendere l’uso del prodotto ad ogni dimensione di esigenza, si prefigge, prossimamente, di realizzare confezioni impiegabili anche nella coltivazione di piccoli orti famigliari;
I ricercatori del Dipartimento di Scienze Agrarie e Farmacia dell’IniPi hanno immaginato, realizzato e testato (verificato) un erbicida naturale con il quale limitare l’impatto sull’Ambiente e i rischi per la salute dell’uomo derivanti dall’uso dei diserbanti tradizionalmente impiegati in agricoltura e fornire una valida alternativa ai progressivi divieti ed alle limitazioni dell’impiego di alcuni prodotti convenzionali, come il ben noto glifosato, in particolare.
La ricerca, pubblicata sulla rivista internazionale Weed Research (Ricerca sulla malerba), è stata condotta sia in laboratorio che in serra ed è durata tre anni, per individuare le piante spontanee dalle quali estrarre gli oli essenziali in grado di produrre i più efficaci effetti diserbanti.
Benvenuti, nel commentare i risultati della sperimentazione, precisa come la soluzione adottata presenti anche dei vantaggi dal punto di vista economico, trattandosi di piante spontanee (Achillea, Assenzio annuale, Assenzio dei fratelli Verlot, Santolina delle spiagge e Nappola), che hanno costi agronomici limitati e, soprattutto, dal momento in cui la siccità colpisce pesantemente le coltivazioni, non richiedono particolari investimenti dal punto di vista idrico. Il che comporta che le 5 specie spontanee individuate, finora prive di utilità, possano, paradossalmente, trasformarsi in preziosa risorsa per l’uomo e per l’Ambiente.
Per quanto concerne l’utilizzazione, lo stesso Benvenuti afferma che il frutto del suo lavoro può essere usato con le stesse modalità dei diserbanti tradizionali, sia nella fase di pre-impianto delle colture e sia localizzandone la distribuzione in presenza della coltura stessa;
La preparazione è semplice e consiste nel porre in un secchio 5 litri di acqua, in precedenza portata all’ebollizione, nella quale versare 1 Kg di sale e mescolare il tutto fino ad ottenere una completa soluzione, alla quale vanno aggiunti, continuando a mescolare, 1,5 litri di aceto, fino ad ottenere un composto omogeneo. Il diserbante appena preparato va distribuito con uno spruzzatore a pressione, reperibile in qualsiasi negozio di articoli per giardinaggio, con l’accortezza di non irrigare la vegetazione interessata nei due giorni successivi al trattamento e di non praticarlo se nei due giorni successivi si prevedono piogge.
Altri preparati del genere, tratti dall’esperienza maturata nel tempo dagli agricoltori, consistono:
Insieme di indicazioni che consentono ad ogni interessato, in maniera agevole, economica ed artigianale, di intraprendere la gratificante pratica della sperimentazione, sia per verificare l’efficacia o meno delle soluzioni descritte, che per acquisire l’abitudine ad adottare, in ogni occasione e per ogni esigenza, il procedimento più rispondente ad evitare il peggioramento delle condizioni del già malridotto ambiente.
A cura del Prof. Brancato
Dal 12 ottobre le stazioni di rifornimento di carburanti italiane ed europee adottano una nuova nomenclatura ed un nuovo sistema di simboli.
La norma EN 16942 europea stabilisce identificatori standardizzati per i combustibili liquidi e gassosi immessi in commercio, al fine di integrare le esigenze d’informazione per gli utenti in merito alla compatibilità dei combustibili sul mercato con i veicoli. L’applicazione della norma è riferita ai veicoli immessi in commercio per la prima volta, anche se non si esclude l’applicazione ai veicoli già in circolazione, per i quali, però, attualmente non vige nessun obbligo di adeguamento.
L’identificatore deve essere apposto nelle stazioni di servizio e sulle apparecchiature di erogazione, sui veicoli, nelle concessionarie di veicoli e nei libretti d’istruzione.
Sono interessati tutti ni veicoli leggeri e pesanti, dalla due alle quattro ruote, le automobili e gli autobus. I simboli da applicare, in particolare sui: bocchettoni dei serbatoi delle auto o all’interno dello sportello per il serbatoio e le pistole e pompe di rifornimento dei carburanti, sono di forma geometrica circolare, quadrata e romboidale, rispettivamente per: Benzine, Diesel e Carburanti Gassosi, come illustrato nella seguente riproduzione (vedi allegato):
All’interno di ogni etichetta, poi, come si può osservare, sono inserite lettere e numeri indicanti la tipologia di carburante, come appresso specificato, distintamente per ogni forma di simbolo:
Dettagliata identificazione dei carburanti, questa, che trova rispondenza nella maggiore esigenza qualitativa dell’alimentazione di motori sempre più sofisticati, come ormai i diffusi propulsori turbo (sovralimentati per effetto della maggiore quantità di miscela aria-benzina che viene spinta a forza nel cilindro da una turbina) che sviluppano molta più potenza rispetto ai normali motori aspirati (dove l’aria nel cilindro entra a pressione atmosferica presente nell’ambiente circostante), e quelli con più elevati rapporti di compressione ( dotati, cioè, di una ridotta camera di scoppio, in quanto il valore del rapporto è dato dalla somma del volume del cilindro e della camera di scoppio, diviso il volume della camera di scoppio ), che nei motori a scoppio, ad accensione comandata, alimentati a benzina, è compreso fra 9:1 e 12:1 ( vale a dire che il volume iniziale della miscela aria-benzina viene ridotto di 9 o 12 volte ), mentre per i motori Diesel oscilla fra i 14:1 e 25:1, trattandosi di motori ad accensione spontanea della miscela aria-gasolio, per effetto dell’elevata temperatura che raggiunge l’aria, fortemente compressa, al momento dell’iniezione del gasolio nella camera di combustione.
Maggior rapporto di compressione, che nei motori a scoppio viene limitato dall’insorgenza del fenomeno della detonazione (comunemente definito “ battito in testa “ dovuto all’accensione del carburante prima che scocchi la scintilla della candela: causa di irregolarità di funzionamento del motore e di sollecitazioni anomale che, a lungo andare, possono danneggiare irreparabilmente organi essenziali per il funzionamento del motore) che è correlata al numero di ottano della benzina (da 98 a 101, fino a 130 per speciali benzine da competizione ed avio) che, a sua volta, dipende dalla percentuale di additivi che vengono aggiunti. Additivi che, per finalità ecologica, trovano riscontro nel metanolo, etanolo o alcool etilico, ricavabili da metano, carbone e biomasse.
Complessività di trasformazioni e modifiche strutturali che rendono alquanto propizia l’applicazione della richiamata norma che, attraverso una dettagliata classificazione e denominazione dei carburanti, consente l’inequivocabile riscontro ed il più rispondente abbinamento della composizione del tipo di carburante con ogni tipologia di motore, permettendo, così, di conseguire il miglior funzionamento, il più elevato rendimento ed il minor impatto ambientale.
Comunque, l’ideale sarebbe che i prodotti impiegati per realizzare nei motori effetti della combustione opportunamente meno inquinanti, non sottraessero preziose materie prime destinabili al sostentamento alimentare di molte popolazioni e non provocassero, a causa delle tecniche di coltivazione e dei sistemi di lotta antiparassitaria non in sintonia con il rispetto dell’ambiente , danni tali da ridimensionare ampiamente gli esiti sperati.
Ridimensionamento evitabile attraverso lo sviluppo delle realtà esistenti e la promozione di metodologie tecnologicamente avanzate finalizzate all’utilizzazione di sempre maggiori quantità di sottoprodotti, in sostituzione delle materie prime, ancora ampiamente impiegate per la produzione dei menzionati carburanti a basso tasso di inquinamento.
A cura del Prof. Brancato
Un gruppo di ricercatori tedeschi, guidato da Sylvia Schnell e comprendente Markus Egert dell’Università di Giessen e l’italiano Massimiliano Cardinale, ha pubblicato uno studio su Scientific Reports, poi riportato sul sito Science, sul rilevamento del Dna microbico di 14 spugne usate.
Studio che desta una certa inquietudine, poiché ha permesso di conseguire il sorprendente risultato del riscontro di una popolazione di oltre 50 miliardi di microrganismi per ogni centimetro cubo di spugna da cucina, tra i quali quelli della stessa famiglia che causano polmoniti e meningiti.
Quantità e qualità ( come Escherichia coli e lo Staphilococcus aureus riscontrati dai conduttori di uno studio simile svolto presso Università di Arizona) di insidiosi batteri paragonabili a quelle presenti nelle feci. Batteri che non è stato possibile neutralizzare nemmeno sottoponendo a trattamenti igienizzanti, quali la bollitura e la sterilizzazione in microonde, le spugne analizzate. In quanto, è stato riscontrato che le spugne sterilizzate ne contenevano una percentuale più elevata rispetto ai campioni che non erano mai stati puliti. Per il motivo, secondo i ricercatori, che i batteri più pericolosi sono molto resistenti e dispongono di un altissima capacità di rapida proliferazione e di ricolonizzazione delle aree abbandonate, come accadde nell’intestino dopo un trattamento antibiotico.
Pertanto, per cercare di attenuare i possibili dannosi effetti dell’uso delle spugnette per la pulizia delle stoviglie, non rimane che seguire alcuni utili accorgimenti, quali:
Comunque, la percezione inequivocabile di quando è giunto il momento di sostituire improrogabilmente la spugnetta è quando si comincia ad avvertire l’emanazione dello sgradevole odore di stantio (rancido), simile a quello dello scarico del lavandino, imputabile alla presenza del batterio Moraxella osloensis, responsabile di rilevanti infezioni, specie nelle persone con un debole sistema immunitario.
Infatti le spugne per lavare i piatti, dopo alcuni giorni del loro uso, agiscono sia come serbatoi che come disseminatori di batteri sulle superfici domestiche, con il conseguente pericolo di contaminazione di mani e cibo.
Insomma, a volte la inspiegabile insorgenza di alcune malattie, che potrebbe sembrare priva di plausibili motivazioni, specie nei confronti di persone previdenti, grazie al singolare apprezzabile lavoro dei citati ricercatori, si scopre, sia dovuta alle insospettabili insidie derivanti dall’imprescindibile uso quotidiano dei materiali adoperati per una presunta accurata pulizia della cucina, praticata, paradossalmente, proprio per eliminate ogni traccia nemica dell’igiene.
Tale consapevolezza, ci si augura possa servire ai lettori, attraverso una diligente e costante applicazione dei suggeriti accorgimenti, per il conseguimento di una oculata opera di prevenzione nei confronti delle citate potenziali affezioni rivelati nella presente nota.
A cura del Prof. Brancato