Nel settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta, vogliamo ricordarlo anche a Marino con una storia quasi inedita che racconta proprio degli anni in cui visse. Numerosi sono i riferimenti a fatti e ai personaggi, avversari o amici che fossero, che Dante inserisce nella Divina Commedia, così da renderli immortali. Per quanto riguarda la storia di Marino ben conosciuti e narrati sono le vicende e i rapporti controversi tra due dei maggiori cardinali della famiglia Orsini, Matteo Rosso Orsini antiangioino e sostenitore di Bonifacio VIII e il cugino Napoleone Orsini amico dei Colonna e fautore di Filippo il Bello re di Francia. Entrambi nipoti del Cardinal Giangaetano Orsini, futuro Papa Niccolò III che, a proposito della storia del castello di Marino, compare come l’artefice della vendita, in quanto esecutore testamentario di Giovanni Frangipane, primogenito di Jacopa de’ Settesoli, il quale aveva disposto come sua volontà in caso non ci fossero stati eredi, che i suoi beni fossero venduti ed il ricavato devoluto ai poveri. In questa delicata e lunga trattativa intervenne anche un monaco Francescano suo fiduciario, Paolo dei Conti di Segni divenuto in seguito vescovo di Tripoli, al quale potrebbe riferirsi un toponimo di Marino: “Tor messer Paoli”.
Alla fine, il potente cardinale riuscì attraverso il nipote Matteo Rosso Orsini a farne acquisire la proprietà nel 1266 per una somma di 13.000 provisini d’oro, cedendone poi la metà ai suoi fratelli, Matteo Rosso II senatore di Roma e Rinaldo detto l’Inglese. Dante quindi incontrerà Niccolò III nel Canto XIX dell’Inferno, nella terza bolgia dell’VIII cerchio dove dimostra tutta la sua avversione nei confronti dell’Osini che si era macchiato di “simonia”, avendo venduto la Chiesa, paragonata ad una prostituta, per propri fini personali e per accrescere le ricchezze della sua famiglia: “E veramente fui figliol de l’orsa, cupido si per avanzar li orsatti, che su l’avere e qui me misi in borsa” (Dante Alighieri.Divina Commedia.Inferno , canto XIX,61).Un altro personaggio ben noto del poema che irrompe a raccontare la storia di Marino è il conte Guido di Montfort, primo marito della Margherita Aldobrandeschi, contessa palatina di Sovana e Pitigliano nella Maremma.Dante lo incontra nell’Inferno, immerso nel bullicame, fra i violenti ( Inf. XII, 118-120, VII cerchio): Mostrocci un’ombra da l’un canto sola, dicendo :”Colui fesse in grembo a Dio lo cor che ‘n su Tamici ancor si cola”. Era infatti Guido cugino di Edoardo I ,re d’Inghilterra e si era macchiato in vita di un grave fatto di sangue.Per vendicare il padre ed il fratello uccisi barbaramente nella Battaglia di Evershan nel 1265,pochi anni più tardi (12 marzo 1271)colse l’occasione della vendetta durante una cerimonia sacra nella chiesa di San Silvestro a Viterbo, dove alla presenza del re di Francia Filippo III e del re di Sicilia Carlo d’Angiò, aveva ucciso sull’altare il cugino Enrico III di Cornovaglia, strappandogli poi il cuore, come nei versi viene ricordato: un cuore che cola ancora sangue sul ponte del Tamigi in un reliquiario d’oro posto su di una colonna. Tale evento ne determinò la scomunica da parte del Papa Niccolò IV e la perdita conseguente dei diritti sulla Contea di Sovana e successivamente intervenuto nella lotta contro gli aragonesi in Sicilia finì i suoi anni in carcere. Lo stesso Papa incaricò l’allora cardinale Benedetto Caetani, futuro Papa Bonifacio VIII, di assumerne la tutela dei beni e di proteggere la contessa Margherita. E’ proprio alla morte del Montfort che con un’abile mossa diplomatica, avendo avuto in quel momento lui l’incarico dal Papa di tutelarne i beni, il cardinal Napoleone Orsini fece sposare la contessa con il fratello minore Orsello, che, allora venticinquenne (1292), divenne così conte di Pitigliano e di Marino. Sono questi gli anni turbolenti per la storia dell’Italia e per la stessa Chiesa che portarono alla sede vacante del papato che si protrasse per ben due anni dal 1292 al 1294.Gli stessi anni in cui è presumibile che Margherita trascorresse le sue giornate di gravidanza e puerperio in maggior sicurezza nel castello del marito, Marino appunto, piuttosto che nel palazzo di Pitigliano.Furono quelli anni di guerre che tempestarono tutta la Maremma e il giovane Orso preso il comando di Orvieto condusse guerra contro Bolsena sino a raderne al suolo le mura nel giugno 1294.Alla vigilia del conclave di Perugia, fu proprio un lutto degli Orsini a favorire la discussione che portò all’elezione dell’eremita Pietro da Morrone con il nome di Papa Celestino V(5 luglio 1294). Era infatti morto, probabilmente per una epidemia di peste, ad Assisi pochi giorni prima il giovanissimo Giovanni Orsini chierico francescano e il cardinal Napoleone Orsini si stava appunto occupando delle esequie del fratello quando fu richiamato a Perugia per prendere parte al conclave che si stava concludendo e che portò all’incoronazione del nuovo Papa in Santa Maria di Collemaggio il 29 agosto del 1294 a L’Aquila. Molto discussi sono i versi di Dante che attribuirebbero a Celestino il “Gran rifiuto” nel III Canto dell’Inferno, 60: “Vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto”.Recentemente infatti più di qualche critico farebbe intendere che il “gran rifiuto” potrebbe attribuirsi addirittura a quel cardinale Matteo Rosso Orsini, nemico giurato dello stesso Dante che, dopo la rinuncia di Celestino, durante il conclave di Napoli la Vigilia di Natale del 1294,ad una prima seduta era stato proclamato Papa,nomina alla quale aveva subito rinunciato spianando la strada al Caetani, acerrimo nemico di Dante, che eletto prese il nome di Bonifacio VIII. Dante pone Bonifacio nello stesso girone dei simoniaci :”Se’ tu già costì ritto, se’ tu già costì ritto, Bonifazio?”, dove ne fa richiamare il nome dallo stesso Papa Niccolò III (Inferno, Canto XIX,52,53).Il conte Orso consigliato dalla stessa contessa palatina Margherita porterà omaggio all’incoronazione del nuovo Papa avvenuta per mano dello stesso cardinale Matteo Rosso Orsini in san Pietro il 23 gennaio del 1295 alla guida di una delegazione di 29 cavalieri senesi.
Orsello morirà in Pitigliano nell’ottobre del 1295 per cause ancora sconosciute, lasciando così il feudo di Sovana e Pitigliano ancora conteso tra gli Orsini, Pannocchieschi e Caetani. Dante ritorna così nella storia sin qui raccontata con l’incontro nel Purgatorio della Pia de’ Tolomei : “ricorditi di me , che son la Pia ; Siena mi fé, disfecemi Maremma: salsi colui che ‘nnanellata pria disposando m’avea con la sua gemma” (Divina Commedia, Purgatorio, Canto V, 134-136),dove è proprio la protagonista a ricordare l’episodio tragico della sua morte, voluta dal marito Nello Pannocchieschi al fine di sposare Margherita Aldobrandeschi sua amante alla morte del suo secondo marito Orsello(1295). Margherita rimarrà in seguito sotto l’ala protettrice del cardinal Napoleone Orsini sino alla sua morte. La contea di Sovana e Pitigliano dopo alterne vicende passerà agli Orsini nipoti dello stesso Napoleone dal matrimonio tra Anastasia di Montfort e Romanello Orsini, mentre il castello di Marino passerà in eredità a Matteo fratello del Cardinal Napoleone Orsini e ai suoi successori e nipoti Rinaldo e Giordano Orsini i “cani cavalieri” dell’Anonimo Romano nella Vita di Cola di Rienzo.